In un contesto nel quale il welfare pubblico non garantisce affidabilità, il welfare aziendale diventa una leva potente per generare un grande effetto positivo sulla motivazione delle risorse, sul clima e sulle performance individuali; tali effetti, generano a loro volta, un incremento della produttività ed una rilevante riduzione dei costi sul personale.
Si definisce welfare aziendale l’insieme di beni e servizi offerti dal datore di lavoro ai propri collaboratori per soddisfare bisogni ed esigenze e che nulla hanno a che fare con la retribuzione. Il welfare si fa con, e per le persone: con le persone, guidandole verso la consapevolezza che il benessere sul lavoro è continua fonte di crescita e produttività; per le persone, aumentandone la motivazione, la fiducia e supportandole nella conciliazione tra i bisogni personali-familiari e gli impegni di lavoro. Pertanto, welfare fa rima con people care solo se ritagliato sui desiderata dei collaboratori e produce valore aggiunto se realmente percepito dalle risorse attraverso un approccio ‘su misura’ ed ascoltando direttamente le persone.
Oggi, nelle organizzazioni aziendali, osserviamo esempi di insostenibilità: orari di lavoro dilatati, carichi triplicati, difficile gestione delle diversità (di genere, età, background culturali, ed ecc.), sindromi da lavoro come stress, depressione, rabbia e rassegnazione, difficoltà del sonno, disturbi alimentari e psicologici, incidenti sul lavoro e senso di solitudine con altissimi costi sociali. Questi aspetti possono essere limitati attraverso il benessere organizzativo che è correlato alla redditività; infatti, se le persone stanno bene e si sentono coinvolte al lavoro, l’organizzazione registra aumenti di produttività e redditività. Oggi alcune organizzazioni dimostrano apertura e interesse al tema del welfare e della sostenibilità, perché hanno verificato i vantaggi economici e di performance che ne derivano.
Il welfare aziendale, quindi, rappresenta un’opportunità ma diverse sono le aree che richiedono un approfondimento: innanzitutto è importante conoscere le modalità per avviare percorsi di welfare, come progettare piani efficaci e dove reperire le necessarie fonti di finanziamento. Il Testo Unico dell’Imposta sui Redditi circoscrive le aree di intervento, per questo è bene conoscere con precisione come impostare un piano di welfare affinché rappresenti un vantaggio economico per l’azienda: spesso basta intervenire su alcune voci retributive per garantire sia la stessa retribuzione netta ai lavoratori, o migliorandola anche, sia un risparmio fiscale considerevole per l’azienda; altre fonti di finanziamento possono derivare sia dall’analisi dei processi aziendali che dagli istituti contrattuali utilizzati: un esempio classico di spreco economico è rappresentato dall’utilizzo dello straordinario. Esso rappresenta sempre una disfunzione organizzativa spesso sostituibile, totalmente o parzialmente, con altri istituti presenti nei contratti collettivi, o altri strumenti fiscali; lo straordinario è uno spreco economico sia per l’azienda che per i lavoratori poiché, a fronte di più ore di lavoro, il netto in busta si differenzia leggermente rispetto ai mesi in cui non c’è; tale differenza è data soprattutto dall’aumento dell’aliquota fiscale e dai contributi che sia il datore che il collaboratore versano. Per non parlare della perdita, da parte dei lavoratori, dei requisiti per il cosiddetto “bonus Renzi”, l’aumento dell’ISEE, l’aumento delle addizionali irpef sia comunali che regionali e altri benefici assistenziali. Con lo straordinario aumenta la retribuzione lorda ma non si percepisce, specie per alcune fasce di reddito, un incremento sostanziale del potere di acquisto di beni e servizi.
La produttività, la riduzione dei costi sul personale, il benessere organizzativo si devono perseguire attraverso strumenti diversi dal passato; le politiche di welfare e di conciliazione vita-lavoro sono una possibilità di benessere per tutti: aziende e lavoratori.
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