Fuga dei cervelli e la sfida dell’Innovazione organizzativa. Dove la vita consente di realizzare la persona, oltre il lavoro.

I giovani cercano sempre più qualità di vita, oltre che condizioni di lavoro in linea con le proprie aspirazioni. Per questo vanno via dall’Italia. (Fonte Corriere della Sera https://www.corriere.it/economia/lavoro/cards/italiani-sempre-piu-poveri-oltre-30percento-giovani-occupati-guadagna-meno-800-euro-lordi-mese/non-paese-giovani.shtml

Non tutte le nostre imprese italiane hanno la possibilità di offrire condizioni di flessibilità oraria, salario e benefits come le organizzazioni nord europee o d’oltre oceano, in cui è la cultura della vita ad essere differente, dove il lavoro è parte della vita e la persona è rispettata e favorita nella complessità del suo essere, con tutti i suoi bisogni e di conseguenza contribuisce al lavoro con il massimo dell’impegno. Paesi in cui amministrazione pubblica e privati concorrono insieme al benessere della comunità e delle persone.

Ma cosa possiamo fare allora in Italia?

Ripartire dalla cultura del lavoro, diffondendo valori e pratiche di relazioni basate sul reciproco scambio di beni e di interessi comuni, beni relazionali e fattori intangibili come la fiducia.

Superare il vecchio concetto del rapporto di lavoro basato sulla “lotta di classe”, sull’idea che il potere è in mano all’una o all’altra parte -in genere in mano al datore di lavoro o alla proprietà-, e accogliere la novità epocale dell’alleanza tra lavoratori/trici e proprietà. Un patto di fiducia e di collaborazione, fondato sulla condivisione dell’identità aziendale e della sua mission, in cui se si cresce, stanno meglio tutti.

E’ vero siamo ancora molto lontani nei fatti, in Italia, in alcuni casi, in altri no. Ma è questa la vera sfida dell’innovazione organizzativa.

Impresa ardua se si considera che nelle imprese abbiamo ancora vecchie generazioni abituate ad una gestione imperniata sulla negoziazione degli interessi, sulla forza della contrapposizione e della lotta. Non c’è altra via, se non quella di avviare azioni e iniziative di sensibilizzazione culturale, per una lenta e decisa virata verso quel cambiamento che anche l’Italia attende.

Emanuela Megli

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