E’ piuttosto frequente attribuire la causa degli insuccessi lavorativi a persone, piuttosto che ai processi, al clima e alla cultura che si vive nelle organizzazioni. E così, facendo fuori una persona, si risolve il problema con l’eliminazione del capro espiatorio. Sebbene in seguito il problema si ripresenti (coinvolgendo altre persone o gruppi) e ponga una questione più ampia.
Benessere nei luoghi di lavoro
Qual è allora la causa degli errori frequenti? Come, dove e quando intervenire per eliminare a monte le cause e i costi dei problemi?
Così come per riuscire a comprendere un disegno astratto è necessario allontanarsi da esso, allo stesso modo, è importante mettersi in un punto di osservazione più alto e guardare la realtà da un punto di vista nuovo, possibilmente globale.
Ogni episodio infatti, non è astratto da un contesto e, questo influenza l’ambiente in cui si vive, le percezione delle persone che lo abitano e le loro relazioni, influenzando il loro benessere.
Per favorire una cultura evolutiva che comprende l’errore e lo sfrutta a favore della crescita e del contino miglioramento, è necessario favorire e premiare comportamenti virtuosi, che diano origine ad una cultura del lavoro orientata ai valori e ai risultati.
Ogni gruppo può costruire un setting di crescita se si ferma a riflettere su stesso e sulla propria esigenza di evoluzione. In questo modo, generando una cultura condivisa, ogni persona agirà con responsabilità in direzione dell’obiettivo, senza dispersioni di tempo ed energie negative sulle persone, ottimizzando invece i processi.
Alcune domande da cui partire:
- Quale ambiente fisico e psicologico caratterizza la mia impresa?
- Quali comportamenti caratterizzano il nostro team?
- Quali capacità abbiamo?
- Quali convinzioni e valori esprime la cultura aziendale?
- Quale identità veicola la mia azienda all’interno e all’esterno?
Il benessere organizzativo è una condizione di contesto dinamica, che inizia con uno sguardo nuovo e “Quando cambi il modo di guardare le cose, le cose che guardi cambiano.” Wayne Dyer
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