Settembre rappresenta per molti il mese di ripresa dopo le ferie estive, ed è facile che ci si ritrovi carichi di lavoro. Di per sé, il rientro al lavoro già rappresenta un “trauma”, infatti dopo un anno intenso, le ferie sono cariche di aspettative e quando terminano ci sembra che siano passate troppo velocemente e siano durate poco.

Quest’anno è stato ancora più impegnativo perché avevamo da smaltire un anno di pandemia con tutte le connesse conseguenze dal punto di vista fisico, organizzativo e psicologico. Avevamo anche bisogno di ritrovare noi stessi, gli affetti, la famiglia e anche una nuova organizzazione in ambito lavorativo.
Consigli per un rientro efficace? Come si può riuscire a riprendere senza ansia da prestazione e in armonia con le nostre esigenze psicofisiche?
Per un rientro soft, prima di tutto bisogna rispettare gli orari, non è possibile pensare di riprendere da subito allo stesso ritmo e alla stessa velocità con cui abbiamo concluso. Bisogna riprendere gradatamente, ad un ritmo più lento, senza porsi troppi obiettivi, rispettando le priorità del momento. Bisogna riuscire a bilanciare bene il dovere con il piacere, ritagliare sempre spazi per se stessi, pensare positivo, cercare di orientarsi al piacere di lavorare e ricordare che non siamo gli unici che fanno fatica a rientrare dalle ferie e da un periodo di libertà e di libera gestione dei tempi.
Sono tanti, infatti, i lavoratori, i manager e gli imprenditori che a settembre hanno necessità di riavviare o che forse non hanno quasi mai sospeso; ecco quindi che non è soltanto una percezione personale quella di fare più fatica e di dover ritrovare un nuovo senso del lavoro, che possa essere anche più facilmente riconducibile al piacere, alla bellezza e al bisogno di senso, ma una necessità collettiva.

Un’ altro strumento molto utile può essere quello di dedicare del tempo a organizzare meglio il lavoro. Ma in che modo?
Trasformare ad esempio la modalità di lavoro agile che abbiamo utilizzato come misura di emergenza, durante il periodo pandemico, in una forma di organizzazione più ufficiale, più standardizzata, che somigli di più a quello che la normativa, (ad esempio la legge 81/2008 sul lavoro agile) ha inteso offrire. Quindi evitare che lo smart working possa trasformarsi, come è avvenuto per molti, in un momento di ulteriore stress, quando ad esempio si sposta il lavoro dall’ufficio restando collegati con i device mantenendo lo stesso numero di ore; utilizzare invece lo smart working come lavoro su obiettivi, ben definiti tra il management e i lavoratori sulla base di tempistiche e risultati condivisi, lasciando un ampio margine di scelta ai lavoratori su dove, come e quando lavorare.
Questo porta ad un aumento del livello di fiducia, e ad orientarsi verso un lavoro che non è prestazionale ma di qualità, fermo restando la verifica dei risultati. In questo modo possiamo quindi dedicare del tempo alla qualità in generale della nostra vita, evitando di raggiungere quel livello di stress che poi mette in circolo nell’organismo una serie tossicità, che invece di migliorare le condizioni del nostro lavoro, le peggiorano. Infatti, aumentare il numero di ore dedicate al lavoro non ne garantisce la qualità e nemmeno un aumento di produttività in termini di risultato.
Bisogna puntare invece a lavorare il giusto numero di ore, o anche meno ore del necessario se si riesce, con la massima produttività. Per far sì che questo accada è importante mettere al centro il benessere e la salute della persona, tutelando quelli che sono i bisogni fondamentali, nel rispetto dei tempi sia interni, dell’organismo biologico e della natura umana, sia esterni, e quindi sociali.
Così facendo si avrà l’impressione di non riuscire, a fine giornata, a concludere tutto ciò che c’è da fare, ma avremo la certezza di aver fatto del nostro meglio e di non aver inquinato la qualità della nostra vita, la produttività e la nostra capacità di offrire al mercato e al mondo il nostro contributo in termini di talenti.
Emanuela Megli